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Immagine del redattoreFrancesco Donato

NOVITA' 2021: NITRATE - Renegade


Giungono al loro terzo lavoro i Nitrate, band che seguo dal loro debutto, quel Real World che nel 2018 aveva lasciato una buona impressione senza comunque sfociare nel pieno entusiasmo.


Nel 2019 il secondo album "Open Wide" mi colpì maggiormente, con una serie di pezzi orecchiabili, ben suonati e ben strutturati, tanto da finire nella mia TOP15 dell’anno.

La Band inglese capitanata dal bassista Nick Hogg di certo non ha dalla sua la costanza in quanto a line-up, avendo cambiato parecchi elementi in ogni album.


Elemento che comunque non pregiudica la perseveranza di Hogg nel proporre uno schietto AOR-melodic rock senza pretese innovative o di originalità, ma destinato fin dal primo album a colpire nel segno gli amanti di certe sonorità ancorate agli ’80.


Questo Renegade è, per quanto mi riguarda, il vero salto di qualità della band, un album che entra tranquillamente nella mia TOP10 dell’anno.


A giocare un ruolo fondamentale nell’alzare asticella è l’ingresso nel progetto di Alexander Strandell, vocalist degli Art Of Nation, che grazie alla sua calda estensione vocale riesce ad arricchire e rendere briose le già ottime melodie dei pezzi.


L’ascolto è senza spigoli, partendo dall’opener, la bonjoviana “Dangerzone”, a cui fa seguito la titletrack, altro pezzo da presa rapida.


Si prosegue con “You Think You’ve Got It”, pezzo validissimo che farà brillare gli occhi ai fans dei Def Leppard.


Si arriva ad uno dei singoli prescelti per la fase di promozione: “Big City Lights” è una delle più gustose gemme di questo lavoro, pezzo dove la voce di Strandell gioca le carte migliori.


Si abbassano le luci con la successiva “Why Can’t You Feel My Love”, pezzo di rara delicatezza, una ballad di ”quelle che giù i sedili e via”. Anche qui la voce di Strandell prende il largo rendendo il pezzo davvero riuscito.


Piacevoli anche le successive “Children of the Lost Brigade”, “Addicted”, “Alibi”, ma il finale si surriscalda con il mid-time “Lay Down Your Arms” e con la splendida “Take me Back”, per me il pezzo più riuscito dell’intero album.


Una band certamente dal sound derivativo ma che propone senza fronzoli un album piacevolissimo che difficilmente non farà sobbalzare di gioia gli amanti dei cari anni ’80.






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