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Mbrischio #13 - SUUNS

Aggiornamento: 7 gen 2022

I Suuns sono un gruppo rock canadese di Montreal . Si sono formati a metà del 2007 quando il cantante e chitarrista Ben Shemie e il chitarrista e bassista Joe Yarmush si sono uniti per creare le loro prime canzoni. Al duo si aggiungeranno poi presto il batterista Liam O'Neill e il bassista e tastierista Max Henry, anche se quest'ultimo dal 2010 per motivi lavorativi continua a esserci solo in studio. A distanza di neanche un anno dall'EP "Fiction" , sono tornati a far parlare di se con un nuovo album uscito a settembre 2021, "The Witness".


Difficile catalogare la musica dei SUUNS, anche perchè ci hanno abituato a sorprenderci disco dopo disco, lasciando sempre un poco spiazzato il proprio pubblico, anche se mai fuori di un certo "recinto" che li ha sempre contraddistinti.

La sperimentazione, il rock, l'elettronica, ci sono tutti. Ma stavolta in "The Witness" si esplorano nuovi territori. I suoni rispetto ai precedenti lavori sembrano più morbidi e meno ansiosi. Meno aggressivi e più dolci. Ma senza esagerare.


Ad esempio in "Clarity", Shemie, che paradossalmente non è mai sembrato un classico frontman, con la sua voce dal calore disumano e fra romantiche meditazioni presiede a tutto, tanto che quando scivola in secondo piano per dare spazio ai riff di sassofono di Erik Hove, se ne sente acutamente l'assenza.

Intrecci sonori tra ambient, jazz, trip hop e field recordings in cui tutto – ma proprio tutto – fa brodo: dal cinguettio degli uccelli a suggestive armonie di twin guitars, passando ancora per malinconicissimi assoli di sax frammentati e ricompattati e lampi del pop più limpido e rassicurante.


Nella loro musica c'è una certa inclinazione nell'andare giù nel profondo, piuttosto che cercare di tirarsi fuori da esso. È difficile immaginare una band come i Suuns che improvvisa come un trio jazz, ma il modo in cui le loro idee si espandono e si contraggono durante la micro-odissea di sei minuti "The Trilogy", suona come una jam session notturna non provata.

Un abbozzo di traiettorie che potrebbero essere spaziali. Ma sono sensazioni, echi che rimbalzano come in uno spazio vuoto, senza materia e talvolta, come in questo caso, prive anche di gravità.


Accordi sognanti, "Witness Protection" è la traccia che ( forse ) potrebbe somigliare di più a un singolo. Infatti nelle tracce di “The Witness” mancano – volutamente – gli spunti melodici dei precedenti album e, soprattutto, quei crescendo strumentali che spesso cambiavano la sorte dei brani, mentre ora tutto è virato in tono minore, senza sussulti, e si basa più sull'incedere del beat che sulle sparute linee che vanno a colorarne gli spazi.

Lo sciame di cicale che apre il disco riappare per chiudere l'album, intrappolando queste tenere emozioni.The Witness sblocca un universo parallelo per la band, e sebbene i SUUNS stiano ancora scolpendo monoliti fino alla paranoia, sentirglieli sgretolare con mani così ferme è un piacere gradito. Le lunghe e complesse evoluzioni sonore alla base di “Third Stream” e “The Trilogy”, sorprendenti perché capaci di dare un senso a un discorso che unisce in chiave ultramoderna barlumi di art, kraut, progressive e psych rock, raccolgono tutto il meglio di un disco difficilmente digeribile ma estremamente raffinato. E soprattutto pregno di emozioni.


Per finire un assaggio live del vecchio EP "Fiction".







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