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CLASSICS: METALLICA - Metallica (1991)


12 Agosto 1991.


Bryan Adams, Amy Grant e Cher mantengono calde le prime posizioni delle american music charts, il rock tradizionale che aveva imperversato per oltre un decennio inizia a vacillare sotto i colpi della monotonia e da lì a poco il movimento grunge ne rivoluzionerà l’approccio.


Esattamente il 24 Settembre con l’uscita di Nevermind dei Nirvana.





Ma in quel caldo Agosto il rock duro tira un colpo di coda epocale, e come tutti i colpi di coda la potenza dell’impatto non la si riesce a percepire a caldo.


I Metallica erano musicalmente fermi dal 1988 e dal controverso And Justice For All, primo album senza lo storico e amatissimo bassista Cliff Burton (venuto a mancare in un tragico indicente stradale) e sostituito da quel Jason Newsted che non fu accolto con tappeti e corone di fiori dai fans di vecchia data.


James Hetfield e soci si trovarono così a mettere mano alle nuove idee per l’album partendo da qualche presupposto derivante dalla precedente esperienza: Pezzi meno elaborati rispetto al quasi progressive-thrash di AJFA e un lavoro qualitativamente ineccepibile rispetto a quello che era stato il vero punto debole dell’album precedente: La produzione.


Qualche anno prima, esattamente nel 1989, Hetfield ebbe modo di ascoltare Dr. Feelgood dei Motley Crue, album che imperversava nelle classifiche rock americane.

Un album di onesto rock n' roll ma pezzi da un suono così levigato seppur compresso da rendere il lavoro dei Crue assolutamente moderno e perfetto.

Dietro tutto quello c’era la mano di Bob Rock.


Senza pensarci due volte, si reclutò il buon Bob dietro la cabina di produzione con le chiare intenzioni di centrare l’obiettivo in modo clamoroso.


Quando uscì Metallica o comunemente chiamato Black Album, il primo squarcio che aprì fu proprio interno, in seno ai vecchi fans della band.


Il disco si discostava dai vecchi lavori non tanto per sound o piglio, ci sono pezzi tirati e suoni anche abbastanza “pesanti” soprattutto se rapportati alla fragile produzione precedente, quanto per attitudine.


I pezzi si rivelano meno complessi, con strutture semplici, quasi elementari rispetto alle splendide atmosfere di Master Of Puppets o ai labirinti sonori di AJFA, con l’intenzione chiara di rinnovare colpendo nei punti deboli che anche il Damage Justice Tour aveva evidenziato.


Questa svolta votata alla rinascita “anno zero” la si evince già dall’immagine.

Il disco si chiama semplicemente Metallica e l’artwork è costituito da una copertina minimale interamente nera con un serpente in rilievo all’angolo destro.


Un album diverso anche nella composizione della track list rispetto al passato.

Ben 12 canzoni di cui due ballad.





“Enter Sandman” ci aveva già aperto la porta il 29 Luglio essendo il primo singolo dell’album.

Intro con arpeggio di chitarra quasi blues e poi l’esplodere vigoroso del pezzo.


“Say your prayers, little one / Don’t forget, my son / To include everyone” esordisce Hetfield in uno di quelli che diventerà il brano simbolo della band negli anni.


Il secondo pezzo è “Sad But True”. Massiccia e cadenzata, un’altra song che collega il Black Album alla storia del rock.


“Holier Than Thou” parte con un tiro thrash vecchia scuola per poi lasciare alla voce di Hetfield le redini dello sviluppo melodico.


Già al terzo brano il lavoro di Bob Rock si rivela micidiale. Tutti gli strumenti si sentono alla perfezione come se i Metallica stessero suonando nella nostra stanza.


Arriva “The Unforgiven”, primo pezzo che farà storcere il naso ma che si rivelerà un grande successo.

Introdotta da un intro morriconiano (i Metallica non hanno mai nascosto l’amore per il grande Maestro aprendo i loro concerti con la coinvolgente The Exstacy Of Gold da Il Buono, Il Brutto e il Cattivo) “The Unforgiven” è il secondo singolo dell’album.


Anche qui rinnovamento strutturale rispetto alle loro classiche mid-ballad (Fade To Black, Welcome Home, One) che partivano lente per poi esplodere.


Qui la strofa è dura e tagliente, il ritornello si poggia con dolcezza e armonia.


“Wherever I May Roam” è a mio avviso uno dei pezzi più validi dell’intero album sostenuto da un susseguirsi di sensazioni che partono da un intro orientaleggiante per sfociare in un riff di sabbatiana memoria e un intercedere molto suggestivo.


Con “Don’t Tread On Me” e “Through The Never” si va alle ossa dell’album.


Arriva dunque il pezzo delle mille polemiche.


“Nothing Else Matters” è una delicata ballad che di fatto fa allungare alla band il piedino fuori dal loro storico target.


Non più solo capelloni con giubbino di pelle e toppe, i Metallica con questo brano arrivano nei walkman dei teenagers dell’epoca e nelle rotazioni delle radio più mainstream.


All’epoca fu quasi tradimento per molti.


SI torna a pestare sui tamburi e a cucire riff taglienti con la splendida “Of Wolf And Man” altro capitolo riuscitissimo come la successiva “The God That Failed” aperta dal basso finalmente in grande risalto di Jason Newsted e dai ricami dei due chitarristi.


Il livello per quanto mi riguarda si alza ancora con “My Friend Of Misery” aperta da un incisivo arpeggio di basso. Il mio pezzo preferito dell’album.


Chiude la veloce e thrasheggiante “The Struggle Within”.


Il Black Album rappresenta un punto di svolta per la carriera dei Metallica, un album che per quanto amato o odiato li consegna alla storia del rock sia per quanto fatto in passato sia per quello che faranno negli anni successivi.


A 30 anni esatti da quel caldo Agosto del 1991 la potenza dell’impatto del Black Album ci lascia uno squarcio nostalgico dentro cui tutto è piacevole, anche le vecchie polemiche ormai sopite.








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