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Immagine del redattoreFrancesco Villari

La filosofia di "STICAZZI"

Non è facile per chi non è avvezzo all'idioma romanesco comprendere il significato di STICAZZI e soprattutto la filosofia di vita che sta a monte di questo termine piuttosto colorito.

La prima difficoltà è di natura semantica. In quasi tutto il resto d'Italia l'esclamazione "Sticazzi!" viene associata a un'espressione di meraviglia, stupore, addirittura ammirazione. Niente di più sbagliato. Stiamo parlando dell'esatto contrario. Quando i romani vogliono esprimere meraviglia utilizzano semmai l'altrettanto colorita espressione "Mecojoni!" di analogo riferimento "genitale" ma con opposta funzione.

"Sticazzi", o l'ancor più filologico "Esticazzi!", vuol dire semplicemente "E chi se ne frega!".

Ecco, a questo punto sareste autorizzati a usarlo: "Sticazzi vuol dire chi se ne frega? E sticazzi!", ma per evitare un cortocircuito dal quale poi sarebbe difficilissimo uscire, vi consiglio di non farlo e proseguire invece nella lettura.

Perché ogni espressione estrapolata dal volgare (in quanto lingua del volgo, non in quanto poco educata) si porta in dote un bagaglio di processi esistenziali che affondano le radici in tempi lontanissimi e spesso sono una sintesi della modalità di affrontare le vita da parte del popolo che l'ha concepita. Perché STICAZZI non è come il disincantato Fottetenn' (napoletano), o Futtatindi (siculo/calabrese), ma è una vera e propria sfida con tanto di sfottò, come è tipico della cultura popolare romanesca: "Io sono il Presidente!" - "E sticazzi!". Una sorta di pernacchia all'arroganza, alla spocchia, ma anche alla presunzione di importanza che ciascuno attribuisce alle proprie cose: "Oggi ho appuntamento dal dentista" - "Sticazzi!".


La cosa più simile che si può rintracciare nei dialetti locali è il reggino "oramatagghiu", che con traduzione aulica vuol dire "adesso mi eviro", ancora legato all'apparato riproduttivo maschile ma con maggiore ferocia e un pizzico di trivialità in più, in special modo se associato, come sovente accade, a una gestualità che possiamo facilmente immaginare.

Il principio però è abbastanza simile: fare ricorso al termine tranchant per sottolineare la totale assenza di interesse verso l'argomento trattato. Nel caso dell'espressione reggina poi, l'aggettivo "tranchant" è quantomai appropriato.


PRO E CONTRO DI "STICAZZI" Dall'analisi escatologica del termine emergono due fattori concomitanti e di pari peso ideologico: l'indifferenza e la volontà di esprimerla. Un paradosso, quasi un ossimoro, perché l'indifferenza prevede il totale disinteresse, mentre la volontà di esprimerla è un moto propositivo, una precisa dichiarazione di intenti. Che senso ha reagire a qualcosa che non ci tocca minimamente? Ed è qui che emerge la natura del popolo romano, incapace di trattenersi quando si tratta di lanciare una provocazione. Il romano ha la battuta pronta, ha sviluppato una velocità di reazione agli accadimenti del circostante superiore a qualunque altra genealogia, probabilmente per far fronte all'enormità della sua storia e del suo territorio, verso i quali nutre un inevitabile senso di inferiorità, di inadeguatezza. E allora, come tutti coloro che si sentono piccoli, si mostra tanto più feroce quanto più grande è l'"avversario". E Roma, si sa, è l'apoteosi della grandezza: la città più grande, la capitale, grandi monumenti, grandi personaggi, grandi opere, grandi quartieri... Tutto a Roma è un po' più grande che altrove (almeno restando in Italia). Le uniche reazioni possibili sono il disincanto, e un certo fatalismo, ma anche l'ironia, se non il sarcasmo. Tutti elementi che sono perfettamente sintetizzati nell'espressione "Sticazzi". Tuttavia, l'abuso del termine denota pressapochismo e finisce per impoverirne la portata dirompente che invece si manifesta solo quando è dosato con sapienza. Appoggiare uno "sticazzi" a tutto ciò che non ha un interesse diretto nella propria esistenza può portare a derive insidiose: "In Burundi si muore di fame" - "E sticazzi, io sto in Italia". No, non è questa la filosofia di "Sticazzi", che invece non può prescindere dal concetto di "presunzione", inteso come affronto a chi manifesta in qualche modo una presunta superiorità rispetto all'altro, anche solo attribuendo un valore maggiore agli accadimenti della propria vita; tipico l'esempio del vip o pseudo tale che viene portato all'attenzione comune per banalità come l'aver fatto un tatuaggio, essere in vacanza, o aver postato un selfie. Cose che assumono valore per la notorietà del personaggio, ma che oggettivamente non ne hanno alcuno, o quantomeno ne hanno al pari del nostro vicino di casa, che però non finisce per questo sulle prime pagine dei rotocalchi. Promuovere "Sticazzi" verso il più debole è un atto di vigliaccheria, come fare a botte in branco contro uno. "Sticazzi" diventa onorevole quando ha il coraggio di sbeffeggiare chi si sente migliore, in caso contrario è solo un esercizio banale dal risultato sgradevole. Per questo la condizione necessaria per utilizzarlo è la sua filosofia fondante, il motivo per cui alla fine di questo articolo, vi sentirete giustamente in diritto di esclamare: "STICAZZI!".

Ecco. È finito. Potete farlo.

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