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Cazuza, la poesia del rock brasiliano


Caetano Veloso lo definì il più grande poeta della sua generazione e la sua morte prematura, avvenuta a Rio De Janeiro, la sua città natale, il 7 luglio del ’90 a soli 32 anni, gettò nello sconforto milioni di giovani brasiliani che in quegli anni lo consideravano un vero e proprio idolo del rock verde oro proprio perché mise a disposizione della musica la sua splendida poesia divenendo il cantante e compositore più amato di quel tempo. Un’immagine che a distanza di più di 30 anni rimane ancora intatta nel cuore dei brasiliani. Si tratta di Agenor De Miranda Araujo Neto, soprannominato Cazuza, (discolo), nomignolo datogli dal padre, ed è l’artista che, a livello personale, più mi ha fatto emozionare e continua a donarmi sensazioni incredibili ancora oggi: per la sua storia particolare e sofferta, la sua musica, soprattutto la sua poesia, il suo modo d’essere. la sua capacità di tirar fuori con grande passione quel particolare mondo che riguarda i sentimenti.

E poi il suo sorriso, la sua fragilità, la sua irriverenza, ironia e coraggio ad affrontare le tante difficoltà della vita, compresa la sua terribile malattia. Ma di questo ne parleremo dopo. Figlio del produttore discografico Joao Araujo, titolare dell’etichetta “Som Livre”, Cazuza “respirò” musica brasiliana e quindi MpB fin dalla sua nascita e a soli sedici anni nel 1974, dopo aver praticamente trascorso la sua infanzia nella spiaggia di Ipanema, andò a Londra per una vacanza e qui si innamorò della musica di artisti come Led Zeppelin, Rolling Stones e Janis Joplin. A vent’anni si iscrisse all’Università, corso di giornalismo, ma non durò a lungo preferendo dedicarsi alla musica e lavorando con l’etichetta discografica del padre. La sua carriera cantautorale cominciò nel 1985, entrando a far parte del gruppo Barao Vermelho con il quale partecipò nello stesso anno all’evento Rock in Rio, uno dei più importanti festival musicali del Sudamerica. Alla fine degli anni 80’ i primi accordi di “Eu preciso dizer que te amo” facevano vibrare il pubblico in ogni sua rappresentazione, cantata all’unisono con il pubblico. Il motivo? un testo che dice tutto sull’amore, magari anche un po’ irriverente ed ironico ma totalmente sincero e che rivela sempre e comunque che si ha bisogno sempre di dire ti amo

Il suo personale dramma, ma che coinvolse emotivamente milioni di brasiliani, cioè la scoperta di aver contratto l’HIV, lo costrinse a lasciare i Barao Vermelho per dedicarsi con più libertà, ed assecondando i tempi delle cure, alle sue composizioni. Fu il primo personaggio famoso brasiliano a dichiarare pubblicamente di avere il virus HIV. La sua posizione assunta nei confronti della malattia, all’epoca considerata maledetta, fu molto coraggiosa e diede il via ad una importante attività che continua a portare avanti la madre, Lucinha Araújo, indiscutibilmente legata all’evoluzione del trattamento dell’AIDS in Brasile.

Anche se all’inizio fu duro accettare per la famiglia, in special modo a quei tempi, che lui fosse bisessuale e che si drogasse, il problema per i genitori era quello di tirarlo diverse volte fuori di prigione per detenzione ed uso di droghe.

Nonostante le sue condizioni di salute peggioravano giorno dopo giorno, Cazuza lavorava come un pazzo e da gennaio a giugno del 1989 registrò, su una sedia a rotelle, il suo ultimo album, doppio, dal titolo “Burguesia”, considerato il lavoro discografico più maturo dell’artista: il primo disco era improntato su canzoni rock ed il secondo invece totalmente ispirato dalla MpB dal momento che Cazuza interpretò vari classici di altri autori (Caetano Veloso e Rita Lee).

Il disco vendette mezzo milione di copie. Sulla copertina c'era raffigurato un Cazuza più magro a causa della malattia, con una bandana che copriva la perdita dei capelli a causa dei farmaci. La canzone titolo, con un testo che attaccava i valori della classe borghese, fu trasmessa dalle radio ma non ottenne il successo commerciale sperato.

Nell'ottobre del 1989, dopo esser stato sottoposto per 4 mesi a un trattamento alternativo a San Paolo, Cazuza si recò a Boston dove rimase internato fino a marzo del 1990, il suo stato di salute era grave e non sapeva più cosa fare. Morì il 7 luglio del 1990 e la sepoltura avvenne nel cimitero “Sao Joao Batista” a Rio de Janeiro, vicino ad altri astri della musica brasiliana, come Carmen Miranda, Ary Barroso, Francisco Alves e Clara Nunes. La sua vita è narrata nel film “Cazuza: O tempo não para” del regista Walter Carvalho.







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