Il 9 maggio del 1974, all'Harvard Square Theatre di Boston è in cartellone il concerto di un giovane rocker emergente. Tra il pubblico c'è Jon Landau, il più feroce critico di Rolling Stone, quello che senza pietà aveva stroncato "Sticky Fingers", l'acclamatissimo album degli Stones, e non aveva risparmiato nemmeno il mitologico "Blood on the Tracks" di Bob Dylan. Ma il ragazzo del New Jersey che si esibisce questa sera, un certo Bruce Springsteen, lo cattura, lo travolge, lo colpisce al cuore. A fine concerto scriverà: “Stasera c’è qualcuno di cui posso scrivere come avrei sempre voluto fare: senza alcun tipo di remora. In una giornata in cui avevo il bisogno di sentirmi giovane, lui mi ha fatto credere che quella di stasera fosse la prima volta in cui io ascoltavo musica rock. Dopo le sue due ore di concerto mi sono chiesto: può esistere davvero qualcuno così bravo, qualcuno che mi parli in modo tanto significativo, qualcuno che suoni rock con tale energia e in modo così glorioso? E, con i polpastrelli delle dite anestetizzati dopo il tanto tambureggiare sulla poltrona per battere il tempo, la mia risposta è stata: sì!” “Lui è capace di tutto: è punk, rocker e poeta di strada, leader di una band da bar e ballerino classico, attore e pagliaccio, chitarrista, cantante e compositore squisito. Guida la sua band come se fosse la cosa che ha fatto da quando è nato. Oggi, non riesco a pensare a nessun altro bianco che sappia fare così tante cose così bene”.
“Stasera”, conclude Landau, “il grande rock del passato mi è sfrecciato davanti agli occhi. Ma ho visto di più. Stasera ho visto il futuro del rock ‘n’ roll: il suo nome è Bruce Springsteen”.
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