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Immagine del redattoreFrancesco Villari

24 maggio 1978 - SIAMO FIGLI DELLE STELLE

...e pronipoti di Sua Maestà il denaro, diceva Franco Battiato nella sua "Bandiera Bianca", una delle hit de "La Voce del Padrone" l'album campione d'incassi degli anni '80.

E già, gli anni '80... ci vorrebbe un manuale di sopravvivenza per chi li ha attraversati e una sorta di vademecum per restarne indenni.

Ma noi che c'eravamo non avevamo nessun libretto di istruzioni. Nessuno ci aveva avvisati che sarebbero arrivati, nessuno ci preannunciò la loro fine. So cosa state pensando, e invece no, troppo facile. Gli anni '80 non cominciano il 1 gennaio del 1980 e non finiscono il 31 dicembre del 1989. Quello lo sapevamo anche noi. Invece non potevamo sapere che in realtà gli anni '80 cominciarono una sera di primavera tra i solchi di un 45 giri infilato in un Juke Box. Giusto una piccola parentesi per i giovanissimi: il Juke Box era una macchina da bar che trasmetteva musica al costo di una monetina. La infilavi nell'apposita fessura, selezionavi il tuo brano e come per magia partiva la canzone. Fantastico no? In quegli anni la musica si condivideva così, qualcuno, a turno, la pagava e tutti la ascoltavano. Una cosa così democratica non si vedeva dai tempi del New Deal. Chiusa parentesi. Dicevamo: in quel Juke Box che ciascuno di noi reduci ha ben piantato nella memoria, una sera di primavera avvenne il miracolo. Un intero decennio sbatteva la porta dietro le sue spalle e si dichiarava concluso alla faccia del calendario. Erano passati solo quindici giorni dall'omicidio di Aldo Moro e dall'esecuzione di Peppino Impastato, il momento più oscuro e tragico dei cosiddetti "Anni di Piombo". Quindici giorni soltanto da quel baratro da cui l'Italia sembrava non riuscire a risollevarsi più. Eravamo esausti. Non ne potevamo più di morti ammazzati, di bombe, di terrorismo, di conta delle vittime ogni sera all'ora di cena, durante il telegiornale in bianco e nero, di mondiali di calcio giocati alla grande ma persi perché un sanguinario regime militare aveva già decretato il vincitore, di misteri e trame oscure, di servizi segreti deviati e strategia della tensione. Avevamo bisogno di respirare, di ridere, di ballare. Avevamo bisogno di sentirci liberi da quel giogo di terrore che ci aveva avvolti giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno fino a coprire l'intero decennio dei Settanta. Una monetina che qualcuno investì in una canzone nuova, appena apparsa tra i titoli del juke box. Nessuno la conosceva, ma in un attimo ci sembrò famosa quanto l'inno nazionale. Un riff di chitarra che pareva arrivare da un altro mondo, da un'altra epoca, dal futuro. Ta ta ra ta ta ta ra ta ra ta ra ta ta... Noi siamo figli delle stelle, figli della notte che ci gira intorno... Solo un attimo di smarrimento e poi il piedino che iniziava a muoversi da solo, i muscoli tesi si rilassavano, i volti contratti si distendevano e apparivano i primi timidi sorrisi. Noi siamo figli delle stelle, non ci fermeremo mai per niente al mondo...

Cristo! Noi siamo figli delle stelle! Tutti in piedi, tutti a ballare. Era arrivato il nostro inno liberatorio, la nostra canzone-manifesto, perché noi siamo I FIGLI DELLE STELLE! E NON CI FERMEREMO MAI PER NIENTE AL MONDO! Nemmeno per le bombe, nemmeno per le stragi di stato, nemmeno per i golpe militari.

Fu così che iniziarono gli anni '80. Con questa promessa di libertà ben scandita dalla voce acuta di Alan Sorrenti. Poi la promessa non fu mantenuta e arrivarono quasi subito i "pronipoti di Sua maestà il Denaro", ma questa è un'altra storia e non riguarda quel momento, quella sera di primavera in cui un juke box ci diceva che era ora di svegliarsi e guardare al futuro con altri occhi. Io quella sera me la ricordo... ed è per questo che non dirò mai che FIGLI DELLE STELLE di Alan Sorrenti è una canzoncina leggera e anche un po' banale. Sì, forse lo è, ma in quel momento aveva addosso la potenza di una nazione intera che voleva tornare a vivere.



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