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16 giugno - LA VARIANTE INGLESE

Vi siete mai chiesti perché Vasco Rossi riempie gli stadi italiani con centinaia di migliaia di persone, ma è praticamente ignorato all'estero? E lo stesso vale per Ligabue, altro "rocker" italiano osannato in patria e sconosciuto da Locarno in su.

E vi siete chiesti perché, invece, i Ricchi e Poveri, Toto Cutugno, Ivana Spagna, in Italia fanno fatica a trovare spazio mentre all'estero sono considerati Star? Oppure perché Laura Pausini ed Eros Ramazzotti hanno il medesimo successo in Italia come nel resto del mondo? La risposta è semplice, ma merita un approfondimento. Il rock ha una sola lingua: l'inglese. Non è solo questione di comprensione del testo, ma soprattutto fonetica, di costruzione melodica. Il rock nasce in inglese perché chi lo ha concepito è anglofono e ha adattato al costrutto musicale il linguaggio che gli appartiene. Niente di più banale. Ogni bacino linguistico ha la sua musica, che cambia non solo dal punto di vista lirico, ma anche concettuale. La musica francese non ha lo stesso incedere di quella spagnola o di quella italiana, da una parte per via delle diverse influenze storiche, ma dall'altra proprio per la lingua. I rari casi di buona contaminazione sono da ascriversi al territorio da cui parte: non è un caso che Fabrizio De André, stilisticamente vicino agli chansonnier francesi, venisse da Genova, città legata a doppio filo con i cugini d'oltralpe sia in termini territoriali, sia in ragione di un melting pot culturale derivato dalla presenza di uno dei porti più importanti del Mediterraneo. Genova ha una diretta referenza sarda (e lo stesso De André ne è testimonianza con la sua biografia).

Sardegna vuol dire Corsica. E viceversa. Corsica vuol dire Francia, nonostante si affacci sulle acque del Mar di Liguria, la regione di terraferma più prossima all'isola. Ecco come la geografia è intervenuta sullo stile di uno dei più importanti cantautori italiani di tutti i tempi. È solo un esempio, naturalmente, ne avremmo tantissimi altri da citare, ma mi sembra sufficiente per comprendere le declinazioni del ragionamento.




Torniamo quindi a Vasco, Ligabue e al rock italiano. A parte i testi che sono intrinsecamente legati al territorio (Vasco fa riferimento a esperienze vissute, a personaggi e luoghi a lui vicini, esattamente come Ligabue e la sua "epica" della Bassa Padana), la loro musica discende direttamente dal rock "classico". Springsteen, Lou Reed, Mellecamp, Neil Young sono i loro padri putativi in senso strettamente estetico. Va da sé che per gli anglofoni risultino totalmente inutili: perché ascoltare uno Springsteen che canta in una lingua incomprensibile e tratta di argomenti e luoghi lontani, peraltro con evidenti forzature metriche, accenti sbagliati e musicalità zoppicante, quando ho a disposizione l'originale? Perché diciamocelo, l'italiano non ha proprio nulla della musicalità necessaria al rock, non ha la potenza espressiva dell'inglese che, in quanto lingua molto semplice, traduce più facilmente in suono anche concetti di una certa complessità. Viene da citare Guccini e la sua esilarante introduzione a "Statale 17", brano di chiaro stampo blues che però grazie all'ironia si mantiene lontano dalla parodia. Guccini lo introduce così nel celebre "live" con i Nomadi: "...quella sera partimmo John, Dean e io sulla vecchia Pontiac del '55 e facemmo tutta una tirata da Omaha a Tucson... poi lo traduci in italiano e dici: quella sera partimmo sulla vecchia 1100 del babbo di Giuseppe e facemmo tutta una tirata da Piumazzo a Sant'Anna a Pelago.

Non è la stessa cosa... gli americani ci fregano con la lingua!"


L'italiano è una lingua complessa, il rock è musica semplice. Il cortocircuito non avviene. Esattamente come accade all'opposto per l'Opera Lirica, di struttura complessa che quindi non si lega con naturalezza a una lingua semplice come l'inglese. E infatti utilizza in massima parte l'italiano. Niente di strano quindi se i rocker nostrani fanno fatica a ottenere considerazione quando cantano nel proprio idioma. Gli esponenti rock non anglofoni che hanno superato i loro confini nazionali hanno necessariamente abdicato la loro lingua per l'inglese: i tedeschi Scorpions, la finlandese Björk, gli svedesi Europe, solo per citarne alcuni. Noi ci abbiamo provato facendo il percorso inverso, traducendo in italiano i classici beat britannici e americani all'alba degli anni '60, con risultati spesso disastrosi (potrei citare di nuovo "Pregherò" di Celentano, l'allucinante versione italiana di "Stand by Me"). E lo stesso Vasco, in tempi più recenti, ha provato a "italianizzare" alcune hit rock mondiali come "Creep" dei Radiohead e "Celebrate" degli An Emotional Fish (diventata "Gli Spari Sopra"), ma stiamo parlando con ogni probabilità dei momenti meno esaltanti della sua carriera.

Non è un caso se l'unico momento in cui gli italiani sono stati considerati pari ai loro colleghi britannici è stato quello in cui la tradizione classica era la cifra di riferimento: il cosiddetto progressive rock. Eppure, anche nel lustro d'oro del rock sinfonico, le band italiane che hanno avuto successo all'estero sono state "costrette" a tradurre i loro dischi (la Manticore di Keith Emerson ha pubblicato Banco del Mutuo Soccorso e PFM in versione inglese). Inutile tentare strade alternative, il rock italiano, di fatto non esiste. Amara affermazione, me ne rendo conto, ma purtroppo non smentibile, almeno fino a oggi. Questo non significa, naturalmente, che non ci siano esponenti rock di rilievo anche in Italia, significa semplicemente che il loro successo resterà relegato ai confini nazionali, anche con grande clamore, come nei casi citati, ma sempre entro le mura.

Dagli italiani ci si aspetta il melodico, l'opera, la romanza, tutto ciò che si presta a essere interpretato nella lingua di Dante. E infatti i Pavarotti (e poi i Bocelli), ma anche i derivati come Laura Pausini, fanno sfracelli dove Vasco langue. E l'easy listening di Ramazzotti e Cutugno manda in visibilio gli italiani all'estero, che non vogliono altro rock'n'roll, hanno già chi glielo propone nella loro terra d'adozione, pretendono la musica nostalgica della loro patria lontana. Funziona così. Poco da recriminare. Certo, fa strano vedere San Siro gonfio di pubblico per chi, un passo più in là, è di fatto un signor nessuno. Ed è anche un peccato che gli anglofoni non riescano ad apprezzare alcune piccole perle del nostro rock "cacio e pepe". Ma in fondo siamo più fortunati noi che ce li godiamo entrambi.



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