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Immagine del redattoreGiusva Branca

Qui Rio: quando Ary Barroso posò la cuffia lasciando "Aquarela do Brazil" a raccontare il Maracanazo



Uno degli antenati dell'armonica a bocca, in Sudamerica, è la “gaitinha”, uno strano incrocio tra questa e una specie di flauto. Comunque uno strumento a fiato capace di suoni magici.


Ary Barroso, ne è padrone fin da bambino, nel Brasile di inizio novecento.


E’ un Brasile certamente povero ma che si è evitato la prima guerra mondiale e, in qualche modo, prova a giovarsene.


Ary Barroso nasce a Ubà, nel Minas Gerais, in Brasile, la regione mineraria, terra di monti ed altipiani, nulla a che vedere con le spiagge immense ed assolate alle quali siamo abituati.


Ubà è piuttosto distante dalla Capitale del Minas Gerais, Belo Horizonte, e per chi volesse costruirsi un futuro all’inizio degli anni ’20 del secolo scorso non c’è spazio al di fuori delle miniere e delle coltivazioni di caffè e soia


E allora al piccolo Ary, a otto anni orfano di entrambi i genitori, ma portatore dei geni del padre, avvocato, poeta, suonatore di chitarra e cantante, non resta che abbandonare Ubà e il suo altopiano.


A 18 anni la sua attività di giovane pianista – arte che ha imparato dalla zia – e di giovane calciatore (è il portiere del Botafogo di Ubà) se le lascia alle spalle e gli anni ’20 lo vedono nella capitale federale, al centro di tutto. E' a Rio!

Rio de Janeiro negli anni 30 conta un milione e mezzo di abitanti e già da una decina di anni le sue spiagge sono un’icona mondiale, al pari dei quartieri che si inseguono uno dentro l’altro: Ipanema, Copacabana, Botafogo, Flamengo, Gloria, Centro, Lapa, Sao Cristo. La statua del Cristo redentor è appena stata costruita, il progetto della passeggiata di Copacabana, con il caratteristico motivo ondulato, è stato appena pensato ed è qui che Ary si laurea in giurisprudenza tra mille sacrifici.


Si guadagna da vivere e per gli studi accompagnando al pianoforte i film

dell’epoca – muti – nelle sale cinematografiche della Capitale e senza mai perdere di vista le sue tre passioni principali: la poesia, la musica e il football.


E anno dopo anno Rio è sempre più sua, Ary ne coglie l’essenza, i rumori, le atmosfere, meglio di chiunque altro. Sente la pancia della città, l’anima di quel Brasile. La assorbe e la rimanda indietro sotto forma di racconto, di poesia, di musica, ma anche di presenza nei gangli attivi di Rio, tra la gente…


Quello stesso genio che passa per le corde dell’anima, prima di rimbalzare in testa ad Ary Barroso quando si mette e comporre una delle canzoni più famose di sempre: vuole comporre un testo e una musica che richiamino immediatamente ai valori e all’essenza dalla sua Nazione, raccontandola in maniera diretta, senza indugiare in retorici e ridondanti slogan in voga in quegli anni. Le atmosfere musicali sosterranno il testo che, a sua volta, le sublimerà.


Ary butta giù di getto, note e parole. E’ una notte piovosa, di quelle con l’acqua giù dal cielo che Dio la manda come solo a Rio può succedere, un’acqua che anche se sei in casa ti entra

dappertutto…e un po' bagna i fogli di Barroso, scolorendo l’inchiostro ancora fresco, come in un magico acquarello.


Ary è attento, attentissimo alle immagini, è artista che vive di immagini ed ecco che da

quell’acqua sui fogli lui vede il titolo che marchierà a caratteri di fuoco il suo capolavoro e che poi sarà magicamente ripreso in una animazione da Walt Disney dopo che avrà acquistato i diritti sulla canzone: nasce così Aquarela do Brazil




Il dopoguerra per Ary Barroso rappresenta l’apice della sua carriera artistica e non solo. Lui scrive poesie, compone musica, si esibisce in concerti, è anche protagonista politico e, soprattutto, è un grandissimo appassionato di football.


E’ il primo tifoso e il radiocronista del Flamengo e della Nazionale brasiliana. Le sue descrizioni, un mix di passione calcistica e poesia pura, sono per gli ascoltatori radiofonici una sorta di televisione ante litteram. Barroso ti porta sulla scena, al centro di essa, ti va vedere le cose, i colori, ti fa respirare le sensazioni, gli stati d’animo. Riesce contemporaneamente ad essere nella testa dei calciatori e negli occhi degli spettatori che, però, hanno solo la sua voce per vedere. Insomma, una magia



E poi, ad ogni gol della sua squadra, lui non si lancia nel celeberrimo urlo dei suo colleghi brasiliani, lui non si produce, come tutti in gooooooooooooooooool, nono, lui fa una pausa di 2/3 secondi, prende la sua gaitinha e…suona…quella melodia è il segnale del gol appena realizzato.


Meno di due ore dopo, al gol della vittoria dell’Uruguay che sottrae la Coppa del Mondo al Brasile e genera decine di suicidi in tutto il Paese, Ary Barroso non ci sta: lui il Maracanazo proprio non ce la fa a raccontarlo: rinfodera la gaitinha, si sfila le cuffie e abbandona la radiocronaca.

Non ne farà più nemmeno una…mai più…

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