Oggi, probabilmente, li arresterebbero all’istante o, comunque, il loro sessismo sarebbe stato bollato duramente.
Ma ogni epoca è figlia del suo tempo e allora negli anni ’70 e ’80 gli “Squallor” portarono a termine un’operazione a suo modo rivoluzionaria.
Sdoganare apertamente tematiche di tipo dichiaratamente sessuale declinate secondo la più alta forma di cazzeggio, dissacrare ogni cosa e soggetto (dal Papa ai Presidenti assortiti), trattare con leggerezza capace anche di sconfinare nella vacuità assoluta questioni di interesse universale come gli amori falliti, i tradimenti assortiti, la libertà sessuale più piena e dettagliata, fece degli “Squallor” più che un’icona.
Si, certo, la quantità industriale di parolacce, di riferimenti - regalati a piene mani e con dovizia di particolari - a una sessualità a tratti morbosa fece di loro i portabandiera del proibito, in qualche modo, come detto, del rivoluzionario, ma proprio la loro evidente e ricercata volgarità esplicita – nel lessico e nelle situazioni cantate – rappresentava il “liberi tutti” della libertà sessuale dichiarata, sbattuta in faccia, certamente estremizzata post-68.
Nei fatti, dichiarati, didascalicamente esposti attraverso canzoni che ti entravano in testa, secondo un nemmeno troppo implicito “così fan tutti”.
E il loro essere sotterranei, figlio del mistero che aleggiava (relativamente) sui nomi della band, contribuì notevolmente a regalare agli “Squallor” un alone di leggenda che poi conobbe le vette più alte quando anche alla massa furono note le storie artistiche di Savio/Bigazzi/Pace/Cerruti, di giorno autori delle più celebri, sdolcinate e “politically correct” canzoni d’amore della musica pop italiana e di notte liberi come cavalli matti a dar vita all’espressività - a tratti più che becera, ma sempre più vera - nella quale milioni di italiani si riconoscevano, ovviamente di nascosto.
Si, perché non solo nessuno o quasi ammetteva di ascoltarli, ma i canali di diffusione musicali all’epoca erano ancora controllatissimi e certo gli “Squallor” non potevano andare in tv, dunque restava solo qualche radio privata coraggiosa e, soprattutto, il mercato – originale e principalmente clandestino – delle musicassette a diffondere il verbo.
Verbo fatto anche di satira, a volte grottesca, a volte geniale, sempre ben sopra le righe.
Troia, Palle, Vacca, Pompa, Cappelle, Tromba, Mutando, Scoraggiando, Arrapaho, Uccelli d’Italia, Tocca l’albicocca, Manzo, Cielo duro, Cambiamento sono i nomi dei loro album nei quali, comunque, più di qualche volta il gruppo proponeva soluzioni melodiche di alto livello e si giovava di collaborazioni artistiche in vari assolo strumentali di altissimo profilo, naturalmente in rigoroso incognito.
Si, perché era diventato figo, fighissimo per gli artisti essere parte di quel gruppo carbonaro e irrinunciabile - un po' per tutta una generazione - canticchiare o declamare pezzi di “Cornutone”, “O tiempo se ne va”, “O ricuttaro nnamurato”, “Chi cazz mo fa fa”.
Piaccia o no, gli “Squallor” hanno cambiato un’epoca, con la faccia di pala di chi se ne fotte della vita stessa perché è il primo a ridersi addosso, a farsi beffe delle miserie umane.
Quelle miserie umane che – loro si - hanno avuto la forza di cantare e smascherare, mentre milioni di italiani, tra una preghiera e un nodo della cravatta, hanno praticato di nascosto ma senza nemmeno il gusto di goderne.
Già, perché tra chi ha vissuto quegli anni in Italia, ci si divide solo in due categorie: chi ascoltava gli “Squallor” e chi…mente!!!
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