15 Maggio 1987.
“Come Theatre Of Pain, anche Girls, Girls, Girls sarebbe stato un album fenomenale , se non fossimo stati tanto presi dalle nostre stronzate personali e ci fossimo impegnati di più”.
Con queste parole Nikki Sixx, bassista e leader dei Motley Crue, sul libro autobiografico della band “The Dirt” riassume lo spirito della sua band nel suo periodo di maggior rischio di sopravvivenza.
E quando si parla di sopravvivenza con i Motley Crue lo si deve fare nel senso più autentico del termine, perché mai come in quegli anni che vanno dal 1984 al 1987 la band di Hollywood a rischiato di giocare un po’ troppo con la morte.
E lo stesso Nikki Sixx ci andò molto vicino proprio nel movimentato tour di Girls, Girls, Girls, talmente vicino da essere dichiarato morto per overdose da eroina.
– Sono morto, lasciate un messaggio dopo il segnale acustico – registrò il caro Nikki sulla sua segreteria telefonica appena fuggito dall’ospedale in cui era stato ricoverato.
Salvato in ambulanza da una puntura di adrenalina dritta al cuore, nel disperato tentativo di riportarlo in vita dopo due minuti di blackout totale.
Girls, Girls, Girls forse non è il migliore album dei Crue, paragonato ai primi due impareggiabili album o al successivo colosso Dr. Feelgood, ma è certamente quello che meglio li rappresenta nel loro periodo peggiore (o migliore a seconda dei punti di vista).
Sporco, vizioso, disturbante ma assolutamente vero e rocknrolleggiante, Girls, Girls Girls è uno degli album più iconici del Glam Metal e probabilmente, come confessato da Nikki nelle righe in apertura, con maggiore cura avrebbero raggiunto risultati ancora più strabilianti.
L’avvio dell’album è una vera e propria bolgia orgiastica e suona quasi come un testamento dove tutti i peccati della band vengono buttati in tavola.
“Pray for us on the wild side” canta Vince Neil sull’opener Wild Side un’autentica preghiera da dannati sorretta da uno dei più bei riffs di chitarra in ambito Hard Rock e da una linea vocale da presa immediata.
La successiva Girls, Girls, Girls fa salire in cattedra l’anima perversa della band, un inno agli streap club di tutto il mondo partendo dal Crazy Horse di Parigi fino “ai luoghi di casa” del Sunset Boulevard di L.A. .
Un pezzo anche in questo caso con un riff fenomenale, tra i più rappresentativi della band e un coro che farà la differenza in chiave live.
L’album si snoda con incursioni nell’animo bluesy del chitarrista di Mick Mars, come in Bad Boy Boogie e in pezzi tenuti sempre in tiro dai suoi micidiali riffs, mai efficaci come in questo album. Ne sono esempio Dancin on Glass, Five Years Dead e Sumthin’ For Nuthin’.
Autentiche cinghiate elettriche tirate dalla sapienti pennate del buon Mick.
L’anima malsana dei Crue scorre a pieno regime sui testi controversi di All in the name of Rock’ Roll (anche in questo caso riff tra i più noti della band!) e sulla ballad You’re All I Need: Delicata, orecchiabile al limite della stucchevolezza ma con temi abbastanza delicati come quelli della violenza domestica, visti da una prospettiva “diversa”.
L’album si chiude con la rumorosa e festaiola cover di Jailhouse Rock.
Un album manifesto che, come i suoi stessi autori, o lo si ama follemente o lo si odia con tutto se stessi.
Come dirà in futuro Doc McGhee, uno dei più noti manager in ambito rock (Motley Crue, KISS, Bon Jovi, Scorpions):
Sesso, Droga, Rock n’ Roll. Forse i Motley Crue non hanno fatto tutte e tre le cose meglio di altri, ma di sicuro le hanno fatte più di tutti gli altri.
E in Girls, Girls, Girls c’è tanto di tutto questo. Troppo.
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