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L'anima del porto, il coro più famoso del mondo, le note di "Moliendo cafè": "E dale dale Boca..."

Aggiornamento: 16 mag 2021


Per prima entra la tromba, in assolo.

E’ una sorta di chiamata alle armi, di codice di guerra.

Pian piano si accodano i piatti, il tamburo.

Ecco, il tamburo scompagina lo schema e dà il via alla gente che batte le mani.

La giostra è in moto. Non si fermerà più, prigioniera di un ritmo ossessivamente circolare e ripetitivo.



Lui è un venezuelano appassionato di ritmi cubani, vorrebbe fare il musicista; forse non lo sa, ma lui musicista lo è già.

E’ il 1958 e mentre in Italia Domenico Modugno fa saltare il banco con “Nel blu dipinto di blu” e l’intero pianeta musicale è ancora stordito dal successo planetario del sedicenne Paul Anka e della sua “Diana”, un altro ragazzino – per l’appunto abbeverandosi alle atmosfere centroamericane – compone, non so fino a che punto rendendosene conto, qualcosa che avrebbe marchiato per sempre, a caratteri di fuoco, la storia della musica mondiale.


Lui mescola i ritmi cubani e quelli dello joropo venezuelano, originando lo stile chiamato “Orquidea” e, tra le altre nasce una canzone che ad oggi, oltre 60 anni dopo, conta qualcosa come 800 cover.

Questa canzone ci mette un paio di anni prima di dilagare ovunque e, particolarmente, sbarca e diventa una hit in Argentina, dove permane a lungo in vetta alle classifiche.


Il brano è l’intramontabile “Moliendo cafè” e l’ossessività del ritmo, la sua ripetitività evocano, sottolineano, rimarcano, all’infinito i gesti di chi macina il caffè e passa giorno e notte a far solo questo nella vita.

Diventa, come detto, una hit clamorosa e una delle sue interpretazioni più conosciute porterà la firma, qualche anno dopo, di Mina. Tutto il mondo, generazione dopo generazione, la conoscerà e la canticchierà.

Chi non ha visto da vicino la “Bombonera” - nel cuore del quartiere della Boca, quello portuale costruito, animato, vitalizzato sul finire dell’800 dagli immigrati italiani (genovesi in particolare, da qui il nome che richiama il borgo ligure Boccadesse) - non può dire di conoscere completamente il football.

La “Bombonera” non è uno stadio, è un catino infernale,

al quale arrivi surfando tra le vie strette e colorate di

“Caminito”, respirando asado e football, miseria e football, orgoglio e football.

La “Bombonera” è la casa del “Boca Juniors”, squadra (tra gli altri di un giovane Maradona) dai colori gialloblu, per

come il caso decise quando il gruppo di ragazzi di origine

italiana che fondò il club si affidò alla

sorte per decidere le cromatiche sociali, battezzate dalla bandiera battuta dalla prima nave che sarebbe entrata in banchina.

E fu una nave svedese, battente – quindi – bandiera giallo e blu - a entrare in porto.

Già, il porto; da sempre da un lato cifra dell’anima popolare di Buenos Aires, dall’altra croce e delizia dei portegni. Eh si, perché – incredibilmente – Buenos Aires non è dotata di un porto naturale e quello della Boca sul finire del XIX secolo è già diventato troppo piccolo per accogliere

navi di grandi cabotaggio, sì che un commerciante propone al Governo un progetto per il porto che poi viene realizzato e, infatti, ancora oggi porta il suo nome ed è il cuore pulsante dell'economia del Paese: Puerto Madero.

Ora, tu puoi anche dirottare altrove il grande traffico navale, ma l’anima portuale del territorio non la schiodi mai e poi mai.

E il Boca Juniors ancora oggi si porta appresso, appiccicata alla maglia blu con il fascione giallo orizzontale, tutta l’anima popolare della gente del porto.


La passionalità, l’urlo ineguagliabile di uno stadio intero, i colori, i fumogeni, la verticalità esasperata degli spalti, la spinta per la squadra che si fa intimidazione per gli avversari, l’asfalto che – letteralmente – trema sotto i piedi per centinaia di metri attorno all’impianto quando la “Bombonera” ribolle di tifo hanno una cifra comune: tutto ciò è musica, diventa musica, è sempre musica, come si conviene ai porti, ai luoghi dove si mescolano le matrici, dove la contaminazione è essenza prima ancora che conseguenza, dove i ritmi spesso diventano ossessivi proprio per questo.


Già…ossessivi come quello che da anni intona “la 12”, la curva del Boca – forse la più famosa del mondo, ribollente di tifo come di delinquenza, di passione come di promiscuità - per larghi tratti delle partite.

Il ritmo, ovviamente, è proprio quello di “Moliendo cafè”, che entra nelle ossa dello stadio intero, per minuti come una cantilena ipnotizzante: “E dale dale, dale dale dale, dale dale Boca…e dale dale, dale dale dale dale, dale oh…”.


Nasce così il coro più famoso della storia calcistica mondiale.

Può durare anche due ore, ossessivo, tambureggiante, come – appunto – il ritmo di chi macina caffè e quello di chi vive nel porto, col porto, tutti i giorni.


Per prima entra la tromba, in assolo.

E’ una sorta di chiamata alle armi, di codice di guerra.

Pian piano si accodano i piatti, il tamburo.

Ecco, il tamburo scompagina lo schema e dà il via alla gente che batte le mani.

La giostra è in moto…

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