Solo uno poteva leggergli la vita senza interpretarla, solo uno poteva identificarsi nelle debolezze dell’uomo senza giudicarle.
D’altra parte, però, cosa aspettarsi da un figlio di un giornalista galiziano e di una basca di Bilbao in esilio in Francia per sfuggire alla dittatura franchista?
Cosa attendersi da un artista cresciuto nella periferia di Parigi in una casa in cui, in pieni anni ’70, i genitori offrivano asilo agli esuli dei regimi sudamericani?
“Io sono la mia colpa e non posso rimediare” ripeteva l’altro. E lo ripeteva ogni volta col dolore di chi sa di essere stato boia e carnefice al tempo stesso, con la faccia di chi comprende di essere irredimibile proprio per il fatto di essere la colpa, più che avere colpa.
Jose Manuel Artur Tomas Chao Ortega, per tutti Manu Chao, e Diego Armando Maradona, per la storia Diego, quasi coetanei, senza saperlo nascono in qualche modo predestinati a stare dalla stessa parte del mondo.
Nel 2008 Manu Chao decide di saltare il fosso e di sbattere in faccia al mondo intero la versione scomoda, pensata da tanti e declamata da pochissimi.
Si yo fuera Maradona viviría como él Porque el mundo es una bola que se vive a flor de piel
Già, perché la verità è che – umanamente – siamo tutti deboli, chi più e chi meno, e Manu Chao, con il suo tipico ritmo che ti prende, ti avvolge e ti fa suo esattamente come un dribbling di Diego, ‘sta storia ce la sbatte in faccia.
E però non è affare di poco momento, no no; il tema è serio e delicatissimo, riguarda l’approccio con la vita e le aspettative.
Quelle che, in maniera folle, milioni e milioni di appassionati hanno caricato sulle spalle di Maradona facendone non un campione da apprezzare, ma un mito da seguire, prima di scoprire che le miserie umane trovano terreno più fertile tra gli agi e i lussi.
Eppure questo per Diego era il peso più grande: “Disgraziato, eri un mito per mio figlio” gli soffiò in faccia il poliziotto che lo arrestò in Argentina e lui, prima di consigliargli di sistemarsi la cravatta chè poco dopo sarebbe andato in mondovisione a fianco a lui in manette, gli ringhiò addosso. “Disgraziato tu! Tuo figlio deve avere te come mito, non Maradona!”
“…se io fossi Maradona perso in un luogo qualsiasi la vita è una lotteria di notte e di giorno”
dipinse in versi e musica Manu Chao, come quella volta quando la cantò in faccia proprio a Diego, già decadente e incantato a guardare sé stesso - in versi e musica, appunto - a pochi metri di distanza.
E gli eroi si cantano da sempre in mille maniere e le loro gesta ancor di più, ma il coraggio di raccontare gli intonaci scrostati e l’umidità che avanza nelle pareti dell’anima invece che il salone delle feste appartiene a pochi, così come la scelta di privilegiare il vero rispetto allo scintillante, la debolezza umana rispetto ad una finta invincibilità.
La chiave – artistica e musicale – di Manu Chao sta nel rovesciare il clichè, nell’invertire la rotta del transfer che la gente opera verso il campione per riscattarsi inconsciamente.
No, signori, ammonisce Manu Chao, “Si yo fuera Maradona viviría como él”, magari dicendo al mondo che “io sono la colpa”, ma è una colpa personale, individuale, con scarse conseguenze verso terzi, mentre i potenti, i ladroni, sono “i pupari”, i capi del calcio e del mondo.
E loro no che non perdonano e, infatti, povero diavolo Diego, te la hanno fatta pagare carissima, attivando quelle trappole di cui tu stesso avevi disseminato il tuo cammino di piccolo uomo, quale eri.
Quello stesso piccolo uomo alla dignità del quale – in quanto uomo e fallibile, debole – Manu Chao si inchina rimettendo i peccati (non pochi né piccoli) in nome di un cuore grande e, soprattutto umano, in nome del principio per cui
La vida es una tómbola, de noche y de día la vida es una tómbola y arriba y arriba…
Abbiamo ascoltato e cantato, a milioni “Ho visto Maradona, ho visto Maradona…” però Manu Chao vide un uomo e ce lo regalò.
Il suo nome era Diego Armando, per tutti Diego…
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