Ciò che lo faceva sembrare una rockstar era la bandana portata sopra i capelli lunghi.
Nel momento della massima fama divenne il suo simbolo, ma lui la teneva per il sudore e perché era il riconoscimento di una debolezza; “La porto perché ho paura che la mia testa esploda", diceva.
Stiamo parlando di David Foster Wallace.
Era una rockstar post-postmoderna, fragile e complessa. La depressione lo ha accompagnato lungo tutto il corso della sua breve esistenza.
Nasce nel 1962, nel 1984 si specializza in Filosofia e scrive un romanzo ironico sulla Logica, che nel 1987 verrà pubblicato con il titolo “La scopa del sistema", derivato da un modo di dire di una trisnonna materna: “Mangia una mela dopo pranzo, è la scopa del sistema", il corrispettivo del nostro “una mela al giorno…..”.
Quando va a New York per incontrare il suo editor, indossa la maglietta degli U2. Buon sangue non mente.
Pubblica il secondo libro e poi cade in una forte depressione.
Si cura e ritorna nel mondo.
Nel 1996 arriva il suo capolavoro: “Infinite jest". È un successo planetario e la rockstar della letteratura americana viene consacrata.
Il libro è lungo 1079 pagine e possiede 388 note a piè di pagina; prende il titolo da una frase dell’”Amleto” di Shakespeare in cui Yorick, il buffone di corte, viene definito “infinite jest", ovvero uno “spasso infinito".
Dentro c’è tutta la vita di Wallace e non solo.
La vicenda si svolge in un ventunesimo secolo dominato dall’ansia del divertimento; l’unico orizzonte culturale è l’intrattenimento. La grande industria è arrivata a sponsorizzare persino i nomi degli anni futuri. Ogni anno ha il nome di una merce.
La droga scorre a fiumi, farmaco contro la disperazione.
Al centro della narrazione, complessa e labirintica, troviamo la storia di un film, talmente divertente che riduce chi lo guarda in uno stato di catatonia che conduce poi alla morte.
Ma a di là del plot, “Infinite jest" è soprattutto un libro sulla depressione, sulle dipendenze, sulla cultura della competizione. E ancora, sul significato della pubblicità e dell’intrattenimento, allora come oggi, così pervasivi.
Foster Wallace è stato buon profeta. Oggi le dipendenze e la pervasività dei “persuasori occulti" si sono spostati sui devices, ma i problemi che lo scrittore americano aveva apparecchiato, sono rimasti lì sulla nostra tavola.
Leggere (con fatica) “Infinite jest", equivale a leggere “Delitto e castigo" o “Per chi suona la campana" o “Sulla strada” o “Le mille luci di New York".
È un’opera che ha intercettato lo “spirito del tempo", che descrive in forma di realtà futuribile, l’essenza di una società, di un mondo, di un’epoca.
Il 21 Maggio 1997, esce l’album “Ok computer” dei Radiohead, impregnato dalle stesse atmosfere.
David Foster Wallace, dopo aver conosciuto il vero amore ed essersi sposato nel 2002 (nonostante la sua passione per Alanis Morrissette e, udite udite, per Margaret Hilda Thatcher), con la pittrice Karen Green ed aver passato i sei migliori anni della propria esistenza; il 12 Settembre 2008, si toglie la vita, prosciugato dall’ultima incurabile depressione.
In conclusione vorrei ringraziare fortemente Cartoline rock e Francesco Villari che mi hanno concesso questo spazio di libertà.
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